Proseguendo il viaggio tra le catabasi del mondo greco, troviamo in Omero, nell’XI libro dell’Odissea, un particolare incontro con le ombre dei trapassati, in cui Ulisse (Odisseo per i greci), in realtà non entrò nel regno dei morti, ma rimase sulla soglia.
Dopo essersi fermato un anno da Circe, Ulisse – su indicazione della stessa maga – si accinse a una nuova prova, rievocare dal regno dei morti le anime dei compagni perduti durante la guerra di Troia, incontrare la madre e interrogare l’indovino Tiresia, che gli presagirà un ritorno luttuoso e difficile.
Raggiunto il paese dei Cimmeri, Ulisse si dirige all’ingresso dell’Ade. Giunto nel luogo prescelto, scava una fossa, vi versa vino, miele e acqua, per poi cospargere il tutto di farina bianca. In seguito, pregate le anime dei morti, sgozza sulla fossa alcune vittime sacrificali e vi fa colare dentro il loro sangue. Improvvisamente, gridando ed emergendo dalle buie profondità, le anime dei morti si affollano intorno alla fossa, ma l’eroe le tiene lontane, perché così gli è stato ingiunto di fare.
Oltre all’indovino Tiresia, Ulisse incontra sulla porta dell’Ade il compagno insepolto Elpenore, la madre Anticlea ed i propri compagni d’armi. Si tratta di Agamennone, Achille, Patroclo, Antiloco e Aiace. Infine i grandi dannati: Minosse, Orione, Tizio, Tantalo e Sisifo. Dunque Ulisse, in realtà, non entra materialmente nell’Ade, ma evoca le anime e poi dialoga con loro per conoscere ciò che nel frattempo è successo e ottenere utili consigli per il suo futuro.
Per Omero l’aldilà non ha un carattere di vero e proprio “regno” esteso, ma nell’Odissea viene descritto solamente come un grande spazio oscuro e misterioso, dove soggiornano in eterno le ombre (e non le anime) degli uomini senza apparente distinzione tra ombre buone e ombre malvagie, e senza nemmeno un’assegnazione di pena o di premio in base ai meriti terreni.
Alcune raffigurazioni sui reperti del Museo rievocano il viaggio di Odisseo/Ulisse: ad esempio due contenitori per profumi o olii di produzione corinzia del VII-VI secolo a.C. in cui la mitica sirena è un essere dal corpo di uccello con testa di donna. Infatti nel mondo greco le sirene non nascono come creature marine, ma stanno appollaiate su rupi e scogli, ed hanno parte superiore di donna e corpo di uccello, animale dalla consistenza aerea e dal canto meraviglioso (le sirene con coda di pesce sono una creazione medioevale).
Ulisse sfiderà la loro soave voce che ammalia e incanta i sensi: chi le ode non può resistere alla tentazione di fermarsi, interrompendo il proprio viaggio terreno. Omero racconta che cantavano così:
“… vieni … nessuno è mai passato di qui con la nera nave senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose”.
Diverse leggende mitiche, legate a personaggi incontrati nelle “Cose dell’altro mondo”, raccontano che le sirene, sconfitte nella gara di canto che le vedeva contrapposte a Orfeo o alle Muse, si strapparono le penne e si suicidarono gettandosi in mare. Oppure erano fanciulle trasformate dall’ira di Demetra in mostri per non aver soccorso la figlia Persefone quando la rapì il Signore degli inferi, Plutone.
Cose dell’altro mondo: l’inferno degli antichi
L’omaggio del Museo d’Antichità “J.J. Winkelmann” a Dante Alighieri, a 700 anni dalla morte, è un’indagine sulle sue fonti: a chi si è ispirato? Un percorso in tredici tappe tra alcuni reperti delle ricche collezioni archeologiche del museo collegabili agli dei e ai personaggi che hanno compiuto il viaggio nell’al di là.