Il mondo dei morti egizio, i Campi di Iaru

La traduzione corretta del papiro da noi chiamato Libro dei morti è Libro dell’uscire al giorno: si tratta di un testo funerario scritto in geroglifico, accompagnato da vignette, su fogli di papiro disposti a formare una lunga striscia che veniva arrotolata: una raccolta di testi, preghiere e formule magico-religiose che il defunto, identificato con Osiride, avrebbe utilizzato per ottenere dagli dei protezione e aiuto nel viaggio verso il mondo dei morti. Durante questo viaggio l’anima avrebbe dovuto superare molti ostacoli e sconfiggere multiformi nemici, per raggiungere l’immortalità.

Due fogli del Libro dei morti di Amen-hotep risalenti al 1500-1292 a.C. dall’Egitto
Museo d’Antichità, inv. 12089

Il Museo d’Antichità espone nella grande sala egizia quattro fogli di papiro che provengono dal Libro dei Morti di Amen-hotep, scriba contabile delle mandrie del tempio di Amon a Tebe, collocabile cronologicamente, grazie anche allo stile delle immagini, durante i regni di Hatshepsut\Thutmosi III ed Amenofi II della XVIII dinastia (1491-1398 a.C.).

Si conservano i fogli iniziale e finale della striscia di papiro lunga originariamente più di 15 metri che arrotolata doveva essere posta sul petto del defunto. La presenza all’interno del testo di spazi, che potevano essere riempiti con il proprio nome e titoli da parte di un acquirente generico, indica che il papiro non fu realizzato espressamente per lo scriba Amen-hotep, ma da lui acquistato già pronto.

Nel primo foglio, il dio dei Morti Osiride, seduto in trono sotto un chiosco e davanti a un tavolo con offerte, riceve un mazzo di fiori di loto da parte del defunto Amen-hotep, seguito da sua moglie Uret e sua figlia Ta-khat.

Nell’altro è dipinta la scena dell’Apertura della Bocca: Amen-hotep chiuso nel suo sarcofago, sorretto da uno dei figli, viene purificato da un altro suo figlio, seguito dal terzo figlio. Questo indossa la pelle di leopardo distintiva della carica di sacerdote sem, e impugna lo strumento rituale per il taglio delle bende all’altezza della bocca e degli occhi della mummia al fine di restituire al defunto l’uso dei sensi, in modo che il suo ka possa vivere pienamente nell’aldilà.

Sugli altri fogli vi erano invocazioni alle principali divinità egizie perché concedessero al defunto protezione e la liberazione dal male per l’eternità nei secoli dei secoli. Inoltre preghiere augurali affinché lo spirito del defunto fosse reso perfetto e potesse salire sulla barca del sole ogni giorno; o ancora elenchi di nomi di guardiani che dovevano essere invocati correttamente dal defunto per essere lasciato entrare nei Campi di Iaru.

Composto in un tempo molto lungo, il Libro dei morti non ebbe un’edizione canonica e unitaria, così che gli esemplari a noi pervenuti mostrano di essere diverse selezioni di formule e preghiere, ma tra queste non manca mai il capitolo 125 in cui il defunto doveva superare la pesatura del cuore, o dell’anima, implorare le 42 divinità giudicanti, per ciascuna delle quali corrisponde da parte del defunto una dichiarazione di innocenza rispetto al peccato che ciascuno dei 42 giudici era preposto a castigare. Si tratta della lunghissima formula della confessione negativa in cui il defunto dichiara di non aver commesso in vita azioni ostili a Maat, principio di verità, armonia e giustizia.

Pesatura dell’anima nella sala delle verità dipinta sul Sarcofago del sacerdote di Khonsu Pa-di-amon della XXI dinastia, da Tebe d’Egitto Museo d’Antichità. inv. 12086

La scena della Pesatura dell’anima è stata dipinta, ad esempio, sul sarcofago del sacerdote Pa-di-amon; qui l’anima di Pa-di-amon, identificata dal suo cuore, viene pesata in contrapposizione ad una piuma di struzzo (simbolo di giustizia e verità) per verificare la sua condotta in vita: se il cuore avrà peccato sarà pesante più della piuma, quindi verrà gettato in pasto al mostro divoratore (non raffigurato). Se al contrario sarà puro, leggero come la piuma, avrà in dono la vita eterna e verrà detto “giustificato”.

La vita eterna, che quindi spettava solo ai puri, si svolgeva nei Campi di Iaru o Campi dei giunchi: in epoca più antica, nel periodo delle piramidi, era pensato nel cielo orientale, costituito da un’indefinita distesa di acqua. Invece nei Libri dei morti dal Nuovo Regno questi campi sono terreni solcati da ruscelli e coperti di messi, qui il defunto arava, seminava e mieteva, teneva puliti i canali dalla sabbia. Nel caso egli venisse iscritto nella corvée giornaliera, aveva a sua disposizione alcune figurine sulle quali era un testo magico la cui lettura le riportava in vita e, risposto eccomi, andavano a lavorare al posto del padrone: sono dette rispondenti, in egizio usciabti.

Usciabti in legno del sacerdote lettore di Amon, Heka-nefer (XIX dinastia, 1292-1186 a.C.) Museo d’Antichità, Inv. 30921
Veduta della vetrina dedicata agli usciabti nella grande sala egizia del Museo d’Antichità
Cose dell’altro mondo: l’inferno degli antichi

L’omaggio del Museo d’Antichità “J.J. Winkelmann” a Dante Alighieri, a 700 anni dalla morte, è un’indagine sulle sue fonti: a chi si è ispirato? Un percorso in tredici tappe tra alcuni reperti delle ricche collezioni archeologiche del museo collegabili agli dei e ai personaggi che hanno compiuto il viaggio nell’al di là.