Il Museo petrarchesco piccolomineo nel VII centenario della scomparsa di Dante (1265- 1321) orienta i riflettori sull’influsso di Dante sulla poesia di Francesco Petrarca.
Due generazioni separano i due scrittori.
Francesco (1304-1374) nasce ad Arezzo perché il padre Petracco è stato bandito come l’Alighieri dalla Repubblica fiorentina: un comune destino di esilio che Dante vive soffrendo i disagi, la povertà, la dipendenza dai signori che lo ospitano. Petracco invece è notaio e riesce ad esercitare la professione, a mantenere la famiglia in crescita, trasferendosi ad Avignone. La città provenzale diviene crocevia politico e diplomatico dal 1309, anno in cui vi si trasferisce la curia papale.
Francesco frequenta lo Studio di Diritto a Bologna. Quando vi giunge nel 1320 per restarci per cinque anni, Dante vive da tempo a Ravenna e la sua stella è già luminosa.
Negli scritti Francesco parla poco dell’Alighieri, eppure la Divina commedia è il testo di gran lunga più presente nella sua lingua poetica.
Il rapporto di Petrarca con Dante si manifesta come emulazione e superamento nei Trionfi, che Francesco inizia a comporre nel 1350 e rivede fino alla morte. La trama di virtù e vizi, esemplificati dai personaggi famosi della storia, anima il poema articolato in strofe terzine come la Commedia.
Petrarca coglie nel catalogo delle personalità esemplari il senso della condizione umana, associando i personaggi alle forze che eternamente guidano i destini dell’uomo: l’Amore, la Castità, la Morte, la Fama, il Tempo e la Fede.
È nel Trionfo d’Amore (IV 28-60) che Petrarca cita esplicitamente Dante ponendolo a capofila di un catalogo di poeti: è una delle rare occasioni in cui Francesco nomina il proprio grande predecessore nella poesia volgare. La schiera si apre con Beatrice e i poeti che procedono per un verde prato pur d’amor volgarmente ragionando. Petrarca passa in rassegna Dante e Beatrice, Cino da Pistoia e Selvaggia, Guittone d’Arezzo, Guido Guinizzelli e Guido Cavalcanti, fino ai poeti provenzali, riconoscendo a Dante il ruolo del poeta che nella generazione successiva ha rappresentato una poesia straordinariamente nuova. Petrarca ricorre al verbo “ragionare”, impiegato da Dante nel Purgatorio (XXVII 53) e nel sonetto delle Rime indirizzato all’amico Guido Cavalcanti Guido i’vorrei che tu e Lapo ed io. Dante e Cino sono gli unici esponenti della poesia italiana che Petrarca rappresenta accanto alle loro amate, Beatrice e Selvaggia, segno che il Dolce stil novo e il tema di Madonna ispiratrice di poesia sono già ben consolidati.