Paolo e Francesca. Gabriele ed Eleonora. Per il pubblico triestino, la sera di lunedì 12 maggio 1902, la tragica storia d’amore cantata da Dante nel Quinto Canto dell’Inferno si interseca con la storia d’amore in quel momento sotto i riflettori delle cronache mondane d’Europa. Grande a Trieste è l’attesa per le recite straordinarie di tre lavori di Gabriele D’Annunzio (La gioconda, La città morta e Francesca da Rimini), che la compagnia di Eleonora Duse porta sul palcoscenico del Teatro Verdi.
Non sappiamo se il Vate e la Divina, affacciandosi all’estrema sponda dell’Adriatico allora irredento dalla finestra della loro suite dell’Hotel de la Ville abbiano intonato i versi danteschi ispiratori per D’Annunzio di Francesca da Rimini. Né quanto gli occhi della loro fantasia, illuminati dal Faro di Salvore, si siano spinti fino a «Pola, presso del Carnaro / ch’Italia chiude e i suoi termini bagna» (Inferno, Canto IX, vv. 113-114).
Certo è che quello di Francesca-Eleonora fu a Trieste un trionfo senza pari, anche in termini economici, come riferisce il critico Aristide Tamanini su «L’Arte» del 15 maggio 1902: «Eleonora Duse fu una Francesca ideale, piena di sublime passionalità […].
Raggiunse all’atto terzo, alla scena del bacio, vette artistiche insuperabili ed il pubblico preso dal fascino di quella dizione di impareggiabile efficacia suggestiva, acclamò vivamente l’eletta attrice. […] Questa sera la Francesca si replica, giovedì replica di Città morta e venerdì ultima rappresentazione del delizioso ciclo con la seconda replica di Francesca. In tal modo le progettate tre repliche straordinarie raggiunsero il numero di sei, fruttando incassi favolosi e finora mai raggiunti, neppure per i più grandiosi spettacoli d’opera, sulle massime nostre scene».