Paolo Malatesta e Francesca da Rimini sono due giovani cognati innamorati uccisi dal marito di lei per essere stati colti in flagrante adulterio; la loro vicenda interessa gran parte del V canto dell’Inferno di Dante, tra i più noti dell’intera commedia: “Quali colombe, dal disio chiamate, con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere, dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettuoso grido”.
Questo amore è senz’altro il più celebrato di tutti i tempi, in Italia e all’estero; fonte di grande ispirazione fu interpretato sia in ambito letterario, che in quello figurativo, da celebri penne e pennelli, che hanno colto gli innamorati in diversi momenti: quello della lettura con il conseguente bacio, come nel caso del dipinto in esame, quello della scoperta del tradimento da parte di Gianciotto con l’uccisione e infine quello dei due protagonisti all’Inferno.
Pietro Sartorio, esponente di spicco dell’aristocrazia mercantile triestina, commissionò a Michelangelo Grigoletti il dipinto raffigurante Paolo e Francesca per ornare, assieme ad altre due tele con tema storico-letterario, la Sala neogotica della sua dimora, ora Civico Museo Sartorio. Per il compimento di quest’opera l’artista chiese un anno di tempo: nel 1840, prima di entrare in casa Sartorio, la grande tela venne esposta alla mostra della Società Triestina del Belle Arti, che si tenne a Trieste in quell’anno. Da una nota del pittore nel suo quaderno d’incassi risulta che egli ricevette 2550 lire austriache “dal Sig. Sartorio per il quadro all’olio rapp. Paolo e Francesca di Rimini”.
Michelangelo Grigoletti, suggestionato dalla lettura del poema, sceglie il momento in cui Paolo sta per baciare Francesca, che in un ultimo accenno di resistenza tenta di fermarlo. Tra loro il libro “galeotto” che li accese di passione e sullo sfondo, inquadrata in una porta la figura di Gianciotto con la spada che da lì a poco li ucciderà. Il dipinto colpisce per il forte pathos che emana, dovuto alla teatralità delle pose dinamiche, che unito alla ricercatezza dei particolari decorativi, come il divanetto su cui siedono, il poggiapiedi, il cappello piumato accanto al vaso con le rose e alla serica luminosità con cui sono trattate le vesti, ne fa un’opera tra le più note e riuscite del pittore pordenonese.
I due amanti sono condannati nel secondo girone dell’Inferno, quello dei lussuriosi, e quando si avvicinano a Dante, Francesca gli si rivolge con le parole più struggenti dell’opera dantesca: Noi leggevamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante».
Il dipinto è attualmente esposto alla prestigiosa mostra Dante. La visione dell’arte, presso i Musei di San Domenico, Forlì, sino all’11 luglio 2021; al suo rientro sarà di nuovo visibile nella Sala gotica del Museo Sartorio, dove è abitualmente esposto, quale parte integrante del percorso museale.