«Sai, l’inferno c’è. Sì, c’è. Dante non lo sapeva. Per lui l’inferno era fantasia.
Io invece sì, ho visto l’inferno.»
Nel regno oscuro di Giorgio Pressburger (Bompiani 2008) è la prima parte di una trilogia incompiuta che, ispirandosi alla Commedia di Alighieri, negli intenti dello scrittore doveva costituire il suo testamento letterario.
Pressburger (Budapest 1937- Trieste 2017) è una delle figure più rappresentative della cultura mitteleuropea del secondo ‘900. Giornalista, regista, scrittore, traduttore, di famiglia ebrea, sfugge alla persecuzione nazista da bambino e all’armata rossa nel 1956, rifugiandosi a Vienna, quindi a Roma e infine a Trieste.
Il modello letterario dell’Inferno dantesco Nel regno oscuro si trasforma in un ateo viaggio dentro di sé e attraverso le tragedie del Novecento che il protagonista-narratore Pressburger affronta dialogando con le vittime della storia, ed in particolare della Shoah. Perché «che l’Inferno c’è, l’ha dimostrato il Novecento. E mentre Dante vi ha messo i peccatori, io vi ho messo gli innocenti».
Il romanzo narra di un uomo di quarant’anni che, rimasto solo al mondo, si ritrova «perduto, abbandonato» nel mezzo dell’oscurità dell’ultima eclisse solare del millennio scorso, l’11 agosto 1999. Mentre vaga nella città deserta, intravede una figura d’uomo. «Gli chiede aiuto. Questo lo promette, e lo invita nel suo studio di psicoanalista, in una torre. È Sigmund Freud», «il dottore», il Virgilio del viaggio infernale di Pressburger:
«Freud è colui che ha veramente scritto la storia del Novecento, cioè la storia di personaggi che solo lui ha potuto esaminare così da vicino e carpire i segreti che nascondevano. Mi sono convinto che quindi Freud fosse il vero narratore della borghesia del Novecento e quindi, come Dante ha scelto Virgilio, così io ho scelto Freud come guida in questo inferno.» (cfr Bond, Gragnolati, Lepschy, Riscrivere Dante in un’altra lingua. Conversazione con Giorgio Pressburger su Nel regno oscuro, in Dante’s Plurilingualism Authority, Knowledge, Subjectivity, London 2010, p. 257)
L’impianto della psicanalisi è anche un impianto tecnico «per poter parlare dei personaggi che sono morti e con personaggi che sono morti […] cosa che si può fare durante sedute psicanalitiche prolungate». Molte le anime triestine che dialogano con il protagonista-narratore Pressburger: i pittori Arturo Nathan e Gino Parin, Zoran Musič, i martiri della rappresaglia nazista impiccati in via Ghega nel 1944. E contro Trieste, emulando Dante, lo scrittore scaglia un’invettiva, visionaria, profetica:
«Ora in te, Trieste, c’è la chiacchiera, non cerchi più la libertà, la passione di una società migliore non ti anima. Adagiarsi e dormire, e divertirsi, questo ti garba e che crepino gli altri. […] Ma voglio immaginare il tuo futuro … può darsi che un giorno il tuo bel porto, Trieste, ridiventi un luogo di scambi e di amicizie, di genti venute da tutto il mondo ma bada che se attendi ancora, forse l’orina e lo sterco che sgorgano dalle fogne sommergerà tutto il tuo bel golfo, riducendolo a una pozzanghera puzzolente che nemmeno la bora potrà più pulire.»
Per approfondire, vi rinviamo all’inventario del fondo archivistico Pressburger, i cui documenti possono essere consultati in Archivio Diplomatico in Hortis, mentre in biblioteca potete prendere in prestito il romanzo.