Le inaspettate colombe di Dante

Dante Alighieri, nella sua Commedia, cita innumerevoli specie animali. Giuseppe Ledda (Il Bestiario dell’Aldià, Longo Ed., 2019) arriva a scovarne 114 specie. Ben poche fantasiose, come draghi, basilischi e centauri; le altre in gran parte vere. Un bestiario di animali selvatici e razze domestiche, di specie italiane ed esotiche, che spaziano dalla pulce al leone.

Tutti questi animali sono usati come allegorie e portano in sé diversi significati. Soprattutto vizi e virtù umane.

Il significato di tali allegorie talvolta è semplice (che le ali degli angeli siano paragonabili a quelle dei cigni non ci vuole molto ad intenderlo), altre volte resta intricato e dibattuto (vi sono serpenti rappresentati come salvifici, ma anche serpenti demoniaci).

Tra tutte, forse la più famosa e la più male interpretata è quella delle colombe nella famosa rappresentazione di Paolo e Francesca nel canto V dell’Inferno.

Ricordiamola:

“Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate”.

L’interpretazione che solitamente viene data è quella di una grande tenerezza. Paolo e Francesca, gli innamorati, teneri e graziosi come colombe bianche nel loro romantico nido e poi sollevate nell’aria del loro desiderio.
Attenzione però. Siamo all’Inferno e parliamo di due peccatori. Come possono essere teneramente paragonati a due candidi innamorati?
Forse perché le colombe non sono esattamente ciò che pensiamo.

Conosciamole meglio: il Colombo Domestico, o Piccione Domestico (Columba livia domestica) è una razza selezionata dall’uomo da almeno 5.000 anni (secondo alcuni studi genetici, anche 10.000). È citato nelle tavolette cuneiformi mesopotamiche e nei geroglifici egizi. Allevato per carne, come messaggero e, selezionando gli individui bianchi depigmentati (che chiamiamo, al femminile, colombe) come ornamento.

La specie originaria, il Piccione Selvatico forma coppie fisse per la vita, ma non per questo rigorosamente fedeli. Nutrendo i piccoli con uno speciale latte rigurgitato, e nidificando in fessure riparate: la riproduzione (e quindi l’accoppiamento) avviene tutto l’anno. E vivendo a coppie, ma in gruppi, i maschi non necessitano di canti melodiosi per attirare le femmine e marcare i territori; piuttosto cementano la coppia con continui corteggiamenti, effusioni e amplessi. Amplessi che avvengono in modo particolare sopra e dentro il nido (cosa non particolarmente comune fra gli uccelli). Tanto che, secondo alcuni autori, lo stesso nome “columbus” deriverebbe da “colens lumbos” = “che onora i suoi lombi”, in riferimento ai ripetuti atti sessuali.

Tale caratteristiche non solo sono passate alle colombe domestiche, ma vi sono addirittura esacerbate. L’uomo infatti, per rendere più produttivo l’allevamento, ha selezionato nelle razze domestiche ancor di più la prestanza e la prolificità. Non solo, negli annoiati colombi prigionieri (probabilmente quelli noti a Dante, che li vedeva allevati in vari castelli e magioni, nelle apposite piccionaie o nelle torri colombarie) che non debbono usare il loro tempo per cercare cibo e evitare i predatori: l’attività sessuale può essere addirittura più intensa.

Per questo, in molte culture le colombe erano sacre alle divinità della fertilità, dell’amore e della passione. La stessa Afrodite era raffigurata come una colomba. Fertilità anche della terra, perché il guano di colombo garantiva raccolti più ricchi.

Ma nella cultura ebraica prima (la colomba di Noè, che ritorna con la promessa di una terra fertile) e in quella cristiana poi (Gesù predicava di essere innocenti come colombe) la colomba assunse contemporaneamente anche il simbolismo di purezza (Cristo stesso viene raffigurato come una colomba). Simbolismo di innocenza che, dopo il rinascimento, divenne prevalente e quasi univoco.

Ma, tornando a Dante, si era ancora nel Medioevo, quando la purezza delle colombe conviveva ancora con la loro carnale lussuria. Ed è con questo significato che quadrano i versi danteschi e in tal modo va interpretato il V canto dell’Inferno. Paolo e Francesca, richiamati dal desiderio (sessuale), vanno sul nido (il talamo) con le ali alzate ma ferme (la posizione di equilibrio dei colombi durante l’amplesso). Ecco dunque spiegata la presenza di due colombe tra i peccatori dell’inferno: non romantica descrizione di due piccioncini, ma esempio di lussuria e desiderio sfrenato.

Queste righe non vogliono inficiare la bellezza del racconto di Paolo e Francesca ma, anzi, vogliono rendere omaggio all’abilità e alla conoscenza di Dante nel saper scegliere l’animale che, forse meglio di ogni altro, ha potuto incarnare la struggente vicenda amorosa dei due sfortunati amanti riminesi.