Nell’ambiente del giornalismo culturale a Trieste tra il 1836 e il 1846 ha un ruolo di primo piano Francesco Dall’Ongaro (Mansuè di Oderzo 1808- Napoli 1873), autore di testi teatrali e poeta, sostenitore della causa neoguelfa, che dopo l’Unità otterrà l’incarico di docente di Letteratura drammatica nelle Università di Firenze e Napoli.
Giunto da Padova nel porto del Litorale austriaco, da sacerdote che mal sopporta gli obblighi dell’ordinazione, collabora alla rivista di cultura la «Favilla. Giornale di Scienze, Lettere, Arti, Varietà e Teatri», che già nel titolo si richiama alla Commedia: “Poca favilla gran fiamma seconda” (Par. I 34). Della testata, nata con il sostegno di alcuni rappresentanti del mondo imprenditoriale e finanziario di Trieste, Dall’Ongaro dal 1838 diviene direttore e comproprietario con Pacifico Valussi. Vi sono pubblicati diversi articoli riguardanti la Divina Commedia: Scienza e filosofia della Divina Commedia (22 gennaio 1837); Simpatia degli inglesi per Dante (26 marzo 1837); Dante e Milton (9 aprile 1837); La luce. Il Paradiso di Dante; La Divina Commedia di Dante. Recensione dell’edizione Firenze, Fabris (26 gennaio 1840); Piccarda Donati, cantica di A. Gazzoletti (6 giugno 1841).
Dall’Ongaro si dedica poi alla preparazione delle “Lezioni dantesche”, annunciate sul «Giornale euganeo» (A. 4. giugno 1847) con lo scritto Sullo stato attuale degli studii danteschi e sulla loro influenza nella letteratura e nell’arte contemporanea.
Le conferenze su Dante tra il 1849 e il 1855 sono spesso l’occasione per parlare in Francia e in Belgio, dove si reca in esilio, dell’arte in generale e della situazione dell’Italia.
Francesco Dall’Ongaro La Divina Commedia di Dante edita in Firenze dalla Tipografia Fabris corredata da 500 incisioni in legno, in «La Favilla», 26 gennaio 1840
Di maggior respiro sono i saggi pubblicati dopo il 1860, tra cui Perché il poema di Dante sia il più moderno di tutti, introduzione al corso di conferenze sull’Inferno di Dante (Firenze 1860) e il discorso Bellezza Drammatica della Divina Commedia in Dante e il suo secolo (Firenze 1865). Egli vi paragona il poema a un immenso poliedro a facce simmetriche, ognuna delle quali riflette l’immagine di un mondo. Si propone di commentarne il lato drammatico, sottolineando come in questo genere letterario il poeta quasi sparisca, lasciando agire e parlare i personaggi. Dall’Ongaro ricorda che l’Alighieri, dopo aver definito tragedia l’Eneide, ha definito il proprio poema Commedia per una forma di rispetto verso Virgilio. Osserva come l’opera condensi in sé storia, leggenda, teologia, satira e dramma ad un tempo. Il poeta cede il posto al teologo, come un padre della Chiesa e come un apostolo, nell’impegno creativo imposto dalla figura di Dio, che non può essere fatto intervenire direttamente, per cui la lotta drammatica tra bene e male è affidata a creature spirituali, angeliche e diaboliche.
Dall’Ongaro osserva che la lingua del poema è vicina alle fonti popolari, non filtrata ancora dai grammatici. È una lingua che Dante riesce a rendere secondo le circostanze elegante ed aspra, pittoresca ed energica, ed è rimasta ancora viva nelle espressioni usate per le strade di Firenze, Siena e Pistoia a metà Ottocento.