Zamboni (Trieste 1826-Vienna 1910) ha Dante e Urania nel sangue.
Figlio del console dello Stato pontificio a Trieste, a vent’anni studia al Collegio Romano, il cui Osservatorio astronomico è diretto dal gesuita Angelo Secchi (1818-1876), fondatore della spettroscopia astronomica, lo studio delle lunghezze d’onda delle sorgenti luminose del firmamento.
«Non potrebbesi fare il Paradiso di Dante alla portata di tutti, illustrandolo nel firmamento? basterebbe che uno leggesse spiegando». Roberto Benigni? No, l’affermazione è del triestino Filippo Zamboni che nel 1900 propone una pubblica lettura multisensoriale del Paradiso: declamazione delle terzine accompagnata da visioni del firmamento mediante binocolo «scosso».
Tre anni più tardi il mazziniano Zamboni si getta nella mischia dei moti del 1848-1849, a Venezia e Roma. Esiliato, sposa la causa irredentista e, per mantenersi, si dedica all’insegnamento a Vienna, dove sarà professore di italiano e lettore indefesso della Commedia al Politecnico per quasi quarant’anni.
Le lezioni apprese nella Specola di Roma danno i primi frutti nel 1880, quando scopre il Bacio nella luna – la figura «amoroso-estetica» di due amanti che si baciano (ricordata anche da Italo Svevo nella Coscienza di Zeno) che sarebbe dato scorgere nelle notti terse sulla superficie della Luna.
Ma è nel saggio Il fonografo e le stelle e la visione del Paradiso di Dante (1900) che Zamboni formula per la prima volta il metodo delle «osservazioni [astronomiche] empireo-dantesche» scoperto una sera d’inverno del 1885 a Bad Gastein, nel Salisburghese.
Lo presenterà al pubblico quindici anni dopo, proponendo la sua lettura multisensoriale del Paradiso dantesco a Trieste, nella sala di Minerva, il 23 aprile e al Politecnico di Vienna il 10 giugno 1900 sotto il titolo Sogni di un poeta triestino.
Il metodo “Dante spiegato col binocolo” segue con precisione le coordinate astronomiche dei cieli del Paradiso: ma il tecnologico, anche se irrimediabilmente romantico, Zamboni surroga la potenza visionaria del sommo poeta con lenti oculari e riassume nel disegno fatto realizzare per il suo saggio lo spettacolo pirotecnico dei nastri di luce che ciascuno può ammirare nel Cielo della Luna usando «un binocolo qualunque. Accomodatelo alla vista per discernere le macchie lunari.
Poi premete sulle sopracciglia la parte somma degli oculari. Incominciate a far tremolare il binocolo, così aderente, sicché con esso ne vengano mosse le sopracciglia. Scostatelo e avvicinatelo agli occhi, sempre facendolo tremolare e battendolo sotto la fronte fino a dargli un moto rapidissimo, ondulatorio e quasi vertiginoso. Voi nel cielo della Luna osserverete una pioggia di brillanti gioielli, di topazii, uno sfavillare come festa d’anime beate».
Video: da 1h 32’