Francesco Petrarca inizia a comporre I libri dei fatti memorabili, noti con il titolo di Rerum memorandarum libri, in Provenza nel 1343 e li prosegue nel successivo soggiorno italiano. Li interrompe nel 1345, perché è costretto a fuggire da Parma assediata dalle truppe dei Visconti e dei Gonzaga. Giunto a Verona dopo una fuga avventurosa, Francesco dimentica a Parma il manoscritto e lascia l’opera incompiuta.
I libri dei fatti memorabili riferiscono episodi storici, prendendo a modello i Fatti e detti memorabili del romano Valerio Massimo (I secolo a.C. – I secolo d.C.). Ne scaturisce un catalogo di esempi morali imperniato sulle virtù cardinali di personaggi dell’età classica, cui si aggiungono alcuni moderni. Francesco indossa l’abito dello storico, come già nelle Vite degli uomini famosi (De Viris Illustribus), descrivendo anche personalità del Medioevo, come Roberto d’Angiò, papa Clemente VI e Dante.
L’Alighieri è definito un grande autore volgare, non sempre apprezzato dai principi per il carattere orgoglioso e schietto.
Petrarca racconta infatti che Dante, in esilio, è ben accolto da Cangrande della Scala a Verona, ma presto viene messo da parte.
La corte è frequentata da istrioni e fannulloni, uno dei quali tanto divertente quanto invadente. Cangrande sospetta che Dante non sopporti l’esuberante commensale e lo mette in una situazione imbarazzante.
Il padrone di casa chiama l’ospite insolente, lo elogia e osserva al poeta: “Mi stupisco che costui, pur essendo demente, piaccia a tutti, a differenza di te, che sei chiamato sapiente”. Affermazione alla quale Dante replica che la gente prova simpatia per chi gli è affine: Alighieri provoca il potente signore, attribuendo a Cangrande la bassezza d’animo del suo ospite, una provocazione imperdonabile. Non è quindi strano che Dante, non più gradito al della Scala, lasci Verona nel 1318.
Petrarca aggiunge al ritratto di Dante esule, l’episodio in cui l’Alighieri siede alla tavola di una famiglia nobile: il padrone di casa già alticcio e piuttosto sudato per il pranzo abbondante che si protrae oltre il consueto, racconta sciocchezze, mentre Dante rimane in silenzio. L’ospite chiede allora la sua approvazione: “Non sai forse che chi dice il vero non si affatica?”, osservazione alla quale il poeta replica tagliente: “Ed io che mi stupivo da dove ti venisse tanto sudore”.