Zigzagando nella collezione Raccolta Patria di Biblioteca Hortis riscopriamo un Dante triestino e plurilingue che scrive pure in istrioto-friulano.
È il medico e poeta Giovan Battista Tagliapietra (Pirano 1813-Trieste 1893) – laureato in medicina e chirurgia a Vienna, dal 1840 medico del Teatro grande di Trieste e genero di Giovanni Marcato, il fondatore del Caffè Tommaseo – che, tratteggiando una geografia adriatica di Dante, si sofferma sulle presunte tappe istriane di Alighieri esule nella raccolta di Componimenti di poesia e prosa pubblicati dalla Società di Minerva in Trieste nel 1865 per le celebrazioni dei 650 anni dalla nascita di Dante.
Tagliapietra, poeta irredentista stimato dalla critica proprio per le sue terzine tutte “materiate” di lirica dantesca, analizza il passo del primo libro del De vulgari eloquentia in cui Dante, alla ricerca del volgare letterario, distingue il friulano dalle altre parlate venete, ma lo scarta perché troppo inelegante, accomunandolo proprio alle parlate d’Istria:
«Aquilegienses et Ystrianos cribremus, qui ‘ces fas-tu?’ crudeliter accentuando erructant»
Passiamo al setaccio Friulani e Istriani, che scandendo crudelmente ruttano ‘Ce fastu?’
La menzione vale per Tagliapietra come prova del soggiorno di Dante a Pola, dove l’istrioto, per sonorità e scorrevolezza, è «aspro e crudo» come a Dignano, Fasana e Rovigno – a differenza del più dolce parlar veneto dell’Istria settentrionale.
Come faceva Alighieri a conoscere l’espressione istrioto-friulana?
Tagliapietra non ha dubbi: la tappa istriana di Dante in esilio, ospite a Pola attorno al 1320 nel convento di san Michele in Monte, è per il medico piranese fatto certo e argomentato, biografia di Alighieri alla mano. La sosta in porto a Pola si colloca lungo la rotta Ravenna-Venezia che vede Dante imbarcarsi in qualità di ambasciatore dei signori da Polenta a Venezia.
Sta di fatto che il riconoscimento dell’individualità linguistica del Friuli è uno degli aspetti più interessanti della rassegna dialettale del De vulgari eloquentia e che in Tagliapietra, come in Dante, l’appartenenza all’Italia è primariamente un fatto di lingua.